di Sergio Giannetta
Intervista a Giovanna Chiantelli, maestra e fino a pochi anni fa formatrice di insegnanti Waldorf
Solo fino a poco tempo fa, tra chi mangiava la carne e chi invece non voleva assolutamente prenderla in considerazione c’era un semplice accordo: ignorarsi a vicenda. Sì, qualche battuta poteva sfuggire, ma perlopiù era quasi scherzosa, comunque poco pungente. “Vivi e lascia vivere”, sembrava il tacito accordo stipulato sulla base di quella che voleva essere, e comunque appariva, una scelta personale, senza troppe implicazioni per chi la pensava diversamente. Aleggiava una sorta di noncuranza, di implicita accettazione delle rispettive abitudini alimentari; anche se già da allora era ben chiaro che gli uni vedevano gli altri da prospettive molto diverse: principalmente i vegetariani e i vegani consideravano i carnivori un po’ retrogradi, poco sensibili alle sofferenze degli animali, poco informati della possibile nocività per la salute umana circa l’assunzione di carne e dell’alta incidenza che la collegata industria alimentare aveva sull’inquinamento del globo terrestre a causa dell’allevamento intensivo del bestiame. Per i carnivori, invece, erano i vegetariani e i vegani a comportarsi in maniera pericolosa per la loro salute e quella dei loro figli privandoli delle necessarie proteine animali. Per loro le argomentazioni sulla nocività del cibo di origine animale, sostenute da vegani e vegetariani, erano considerate praticamente assurde, contro il buon senso dei padri e delle tante generazioni che sulla carne avevano cresciuto milioni e milioni di figli. Inoltre, era chiaro che per loro si trattava di una esigua minoranza di persone dedita alla sperimentazione di “strambe” nuove abitudini alimentari… I numeri, poi, parlavano chiaro, infatti nelle cerchie dei famigliari e in quelle degli amici “sciroccati”, gente “di quel genere” si poteva ancora contare sulle dita di una mano.
Poi le cose sono cambiate… Vegani e vegetariani sono aumentati di numero e, forse, hanno cominciato a sentirsi in dovere di affermare in modo più forte le loro ragioni riguardo al depauperamento dell’ambiente causato dagli allevamenti intensivi degli animali e alle sofferenze, per loro incredibili e inutili, riservate agli animali destinati a diventare cibo degli umani. Nel 1992 lo scrittore Jeremy Rifkin scrisse un saggio denuncia, Ecocidio: ascesa e caduta della cultura della carne, in cui riusciva “a far apparire l’uomo come un avvoltoio in cerca di cadaveri, quelli che ogni giorno mettiamo sulle nostre tavole, che camuffiamo per renderli simili a cibo che cresce sugli alberi: niente farebbe pensare che il petto di pollo panato sia un pezzo di pollo, appunto. L’essere umano è descritto in tutto il suo aspetto di traditore, che uccide e tratta degli animali utili quali mucche e galline – che gli regalano latte e uova – come semplici riserve di cibo create apposta per se stesso. Ma sarà così? Il mondo è stato davvero creato solo per la specie umana?”.
Un segnale importante è quello che proviene dal Rapporto sulla ristorazione in Italia nel 2015, infatti secondo questo studio sono in forte espansione i settori bistrot, etnici e vegani che fanno registrare globalmente un più 20%. Sì, proprio anche vegani, ristoranti e soprattutto bar che puntano a soddisfare le esigenze sempre più numerose di chi segue un regime alimentare privo di carne e di derivati animali.
Nel mondo ogni anno vengono allevati e uccisi per essere mangiati 150 miliardi di animali di cui 64 miliardi tra bovini, suini e polli. Forte di questi dati c’è chi dalle pagine di giornali internazionali arriva a definire l’allevamento industriale uno dei peggiori crimini commessi dall’uomo nel nome di un «progresso disseminato di animali morti». Forse, se non proprio di una guerra si può almeno cominciare a parlare dei prodromi, delle prime scaramucce?
A questo punto i carnivori, dal canto loro, si sono sentiti attaccati e hanno iniziato a pretendere rispetto per le loro scelte in nome della libertà a cui ogni essere umano deve poter aspirare, anche quella di andare ancora a caccia, da loro considerata uno sport virile e globale, per procurarsi personalmente la carne da mangiare.
A chi si chiede se un cambiamento nelle tendenze in atto riguardo all’alimentazione della popolazione mondiale possa aiutare a salvare l’equilibrio ambientale del pianeta scongiurando la catastrofe paventata ormai dal fior fiore delle équipe di scienziati di mezzo mondo, si può consigliare la lettura di uno studio pubblicato da Nature Communications e di un rapporto del World Resources Institute (Wri). Secondo quest’ultimo rapporto sarebbe possibile, se l’umanità scegliesse una dieta vegana, riuscire a nutrire tutta la popolazione mondiale senza aumentare la deforestazione della nostra Terra e, quindi, non aumentando le emissioni di anidride carbonica e non contribuendo così al cambiamento climatico e alla riduzione della biodiversità. Nello studio sono stati analizzati più di 500 scenari di produzione e consumo e i risultati dicono che con una dieta vegana, in un’ipotesi di non esistenza di barriere commerciali, tutti quegli scenari siano sostenibili al 100% senza richiedere altro terreno per l’agricoltura. Con la dieta vegetariana si arriva al 94% ma a fronte di consumi di carne al livello di quelli Occidentali una piena sostenibilità si raggiunge solo nel 15% degli scenari analizzati.
Oggi, fatto dunque ormai acclarato, questa diatriba è diventata una contrapposizione aperta! Sui giornali, in tv, in radio e nelle normali chiacchierate tra amici e conoscenti ci si schiera apertamente. Non crea neanche più stupore che si arrivi ad attaccare verbalmente la fazione opposta pesantemente e senza più remore. In molti casi si giunge anche al turpiloquio e alle minacce fisiche… con grande gaudio della categoria degli avvocati.
Ci sono, poi, altri segnali che avvalorano la tesi secondo cui in questo momento il tema dello scontro tra carnivori e vegetariani comincia ad assumere connotazioni quantomeno di conflitti non facilmente sanabili. Infatti, ormai l’argomento è entrato a far parte della letteratura romanza internazionale. Un vero e proprio caso letterario visto che proprio in questi giorni è stato assegnato il Man Booker International Prize alla sud-coreana Han Kang per la “sconcertante miscela di bellezza e orrore” del suo libro “The Vegetarian”, la storia di una donna che dopo aver deciso di smettere di cibarsi di carne si trova costretta a sopportarne delle conseguenze a dir poco disastrose.
La scelta della protagonista del romanzo, Yeong-hye, è dovuta a degli incubi ricorrenti che la portano a voler vivere una vita più simile a quella di una pianta. In Corea del Sud, però, le persone che scelgono di diventare vegetariane sono pochissime e generalmente malviste. Il marito reagisce alla decisione della moglie con una forma di sadismo sessuale fino ad allora mai manifestata che spinge Yeong-hye a tentare il suicidio.
E davvero la faccenda si complica quando i distinguo diventano particolarmente sottili. Ragioni logiche e anche filosofiche sembra si possano sostenere da una parte e dall’altra ed è molto difficile per chi vuole raccapezzarsi raggiungere delle certezze della ragione e del sentimento che non facciano a pugni con un'”etica moderna” dell’uomo. Ma può esistere un’etica moderna?
Per tentare di approfondire l’argomento e poter avere qualche strumento in più dal punto di vista antroposofico e pedagogico riguardo al percorso di crescita dei nostri figli, abbiamo chiesto a Giovanna Chiantelli, maestra e fino a pochi anni fa formatrice di insegnanti Waldorf, di rispondere ad alcune delle domande sulle varie questioni che un simile “dibattito” sollecita.
Sergio Giannetta_Cosa sta accadendo? Come mai lo scontro tra carnivori e vegetariani e vegani è arrivato a toni così accesi?
Giovanna Chiantelli_Io non sono molto al corrente di queste diatribe perché vivo ritirata in campagna. Con un po’ di radio mi tengo aggiornata. Trovo comunque che queste lotte siano assurde. Per capire come comportarsi credo basti osservare con attenzione il bambino dopo l’allattamento. Osservare, cioè, come si avvia al cibo e quali preferenze reali manifesta, stando attenti a distinguerle dagli immancabili capricci, perché i bambini per richiamare l’affetto dei genitori a volte fanno dei capricci, quando si sentono trascurati, quando hanno una certa infelicità. Dico questo per esperienza personale, da piccola sentivo molto la mancanza di mia madre lontana per lavoro. La nonna era un po’ rigida e io facevo dei capricci enormi proprio sul cibo. Però oggettivamente un conto sono i capricci e un conto sono le disposizioni e le necessità organiche di ogni singolo essere umano. Ci sono bambini che hanno un bisogno indispensabile della carne. Non tanta, senza esagerazione, un paio di volte alla settimana, magari una carne bianca, di vitello da latte. Ne hanno bisogno e questo succede generalmente ai bambini dalla pelle bianchissima, pallidi e generalmente di un biondo molto chiaro. Questi bambini non hanno le forze per digerire e trasformare il vegetale in quello che è il sangue, detto un po’ alla buona hanno pochi globuli rossi. Anche in questo caso parlo per esperienza personale riguardo a un’amica con due figli, uno, il maschietto, del tipo che ho appena cercato di caratterizzare mentre l’altra, la bambina, era un tipo robusto, forte; poteva crescere mangiando qualunque cosa, anche i fagioli o altri alimenti ancora più pesanti. Quel bambino, invece, chiedeva sempre la carne… Ricordo che, quando si andava al ristorante, il piccolo chiedeva sempre “fleisch”, in tedesco carne, ma questa famiglia era rigidamente vegetariana. Direi… fanaticamente vegetariana. Anche dietro mia insistenza, alla fine questo bambino fu portato da un bravo medico antroposofo. Una donna che fece tutte le ricerche possibili e immaginabili per individuare una causa e quindi una terapia per contrastare questo malessere del bambino. Finché un no disse alla madre: “A questo bambino devi dare un po’ di carne almeno una volta a settimana se no ti vola via”. E aggiunse: “Ha un percorso di incarnazione difficoltoso e quindi ha bisogno di sostanze terrestri che lo tirino giù”. La bambina, dal canto suo, non aveva bisogno di tutte queste particolari attenzioni sul cibo, ma per imitazione anche se era di poco maggiore e forse per gelosia, quando vedeva il fratellino mangiare la carne naturalmente la voleva anche lei. Come si può immaginare questa cosa sconvolse un po’ l’andamento familiare.
Sergio_Tu da bambina mangiavi la carne?
Giovanna_Personalmente io facevo tanta fatica a mangiare la carne. La mia era una famiglia numerosa e in tempo di guerra, io sono nata alla fine del ’33, solo perché vivevamo in campagna non ci mancava l’essenziale. Vi assicuro, però, che non era facile lo stesso, per esempio era molto difficoltoso procurarsi il sale e il cibo senza sale, specialmente la carne, si mangia proprio a fatica. Io detestavo la carne. Per quel che sono i miei ricordi quando si andava a tavola il gatto era fisso accanto alla mia sedia. Per fortuna, poi, con noi viveva anche un mio cugino di appena 4 giorni più grande di me. Lui è sempre stato un mangione, un onnivoro, e a quell’età aveva bisogno di molto cibo. Ebbene, molta della mia carne quando nessuno vedeva, nemmeno lui, finiva nel suo piatto. Quindi, nella mia vita ho cercato sempre di mangiare poca carne ma proprio perché non mi piaceva. In quel periodo, comunque, c’era il mito della carne, capitava addirittura che in famiglia la carne fosse in tavola qualche volta anche alla sera ma di sicuro tutti i giorni. Io mangiavo molti contorni, mi sono sempre piaciute le verdure. Poi, quando sono stata adulta e ho potuto fare come volevo, mi sono imposta e sono diventata vegetariana. E tutta la vita più o meno sono andata avanti così. Certo se ero invitata a pranzo e veniva servita la carne, per non far sentire a disagio nessuno, prendevo molto contorno e un pezzettino minuscolo di carne. Non stavo male per questo, solo il gusto ne soffriva.
Sergio_A parte qualche piccolo scantonamento, dunque, vegetariana per scelta tutta la vita?
Giovanna_Adesso sono vecchia, a ottobre compirò 83 anni, e tutto il 2015 ho avuto una malattia proprio all’apparato digerente che si è aggravata dall’agosto al dicembre. Avevo repulsone del cibo, non potevo mangiare niente… Ora, grazie a un medico che mi ha messo a posto con un nuovo intervento ho ricominciato finalmente a mangiare. Per capire la gravità della malattia basti pensare che in pochi mesi avevo perso sedici chili! Non digerivo assolutamente niente, avevo repulsione al cibo. Ora mi hanno detto che potrei tornare a mangiare tutto, ma in piccole quantità e non legumi, formaggio e uova che non digerisco più. Ho dovuto cominciare, quindi, a mangiare un pochino di quella carne che non mi è mai piaciuta. Lo faccio una volta alla settimana e ogni tanto la mattina a colazione inserisco qualche fettina di prosciutto.
Sergio_Questo doverti adattare a mangiare la carne ti crea problemi?
Giovanna_Trovo che non si debba essere fanatici in niente e si debba invece ascoltare il proprio organismo e volergli bene perché è lo “strumento” che ci permette di vivere sulla Terra e ci consente di accedere a quelle esperienze che poi spiritualmente ci fanno progredire. Maggiore è la salute del corpo più ampio è lo spettro di esperienze concesse. Credo che queste lotte assurde, di cui ho sentito parlare senza mai parteciparvi, siano anacronistiche e senza motivo di essere. Non hanno ragione né gli uni né gli altri perché penso che ognuno debba imparare ad ascoltare il proprio organismo.
Sergio_Da cosa nascono questi conflitti?
Giovanna_Il guaio è che entra in gioco lo sfruttamento, ormai si specula su ogni cosa. In fondo fare lotte per queste cose significa avere un io molto fragile. Penso che una persona con un io abbastanza evoluto debba occuparsi principalmente di tutto ciò che è cultura e spiritualità. Nella cultura c’è tutto il discorso del cibo, dell’agricoltura, della salvezza della terra, eccetera. Occuparsi di queste cose e poi ascoltare se stessi e i propri reali bisogni sia riguardo alla quantità sia alla qualità.
Sergio_Perché sempre più persone smettono di mangiare la carne?
Giovanna_Credo perché si rendono conto che le appesantisce, che li rende deboli nell’apparato digerente. Perché dico questo? Prendiamo la carne che viene consumata di più, quella di tipo bovino. Il bove, si sa, ha uno stomaco formato in modo particolare. Infatti, vediamo i bovini prima brucare l’erba e poi distendersi e tornare a ruminare quello che hanno mangiato prima. Quindi, è abbastanza evidente e facile da comprendere e accettare che quando mangiamo la carne il primo lavoro di trasformazione della materia dal vegetale alla più complessa organizzazione animale lo ha fatto il bue. Allora, un conto è escludere la carne in assoluto, un conto mangiarne una quantità moderata. Mangiare la carne una volta alla settimana è diverso che mangiarne tutti i giorni come diverso è non mangiarne mai. A un bambino fragile che dimostra di aver bisogno di un aiuto gli va data la carne nella misura in cui gli è necessaria, magari d’accordo con un medico nutrizionista. Penso che anche una madre o un padre di buon senso possano osservare e capire quanta ne debba mangiare un bambino che ne ha necessità. Nel caso di un bambino sano e robusto, penso che abituarlo a mangiare poca carne o nessuna possa significare rafforzare il suo apparato digerente. Trarrà le proteine dai vegetali oppure da quei prodotti che derivano dall’animale come il latte e le uova. Secondo me in tutto ci vuole equilibrio e trovo sia necessario che negli adulti debba attivarsi sempre più una maggiore coscienza nei confronti dei bambini piccoli ma anche di loro stessi. Sono convinta che se ci auto-osservassimo e ci auto-educassimo troveremmo la misura adatta per il nostro organismo nella quantità e nella qualità dei cibi, senza indulgere troppo ai cosiddetti peccati di gola.
Sergio_Se l’uomo è stato dapprima cacciatore, quindi si è evoluto verso l’agricoltura e ha introdotto sempre più i vegetali nella sua alimentazione, perché oggi è tornato quasi totalmente carnivoro? Si tratta di un’ulteriore evoluzione o di un’involuzione?
Giovanna_Credo intervengano anche dei fenomeni culturali e qui il discorso si fa veramente ampio perché nel mondo la ricchezza e i prodotti sono mal distribuiti. Da bambina ho vissuto in un piccolo paese del Casentino, e lì viveva una famiglia dove c’erano tre figli, il babbo e la mamma, me lo ricordo bene perché la ragazzina veniva a scuola con me. Solo il babbo lavorava e faceva anche un lavoro di un certo livello per quell’ambiente, era un impiegato. Loro, comunque, si potevano permettere solo la domenica mezzo coniglio in cinque persone. Ma quando, dopo la guerra, c’è stato il boom economico, le cose sono cambiate. Io andavo spesso a fare la spesa con la mamma e notavo come, per esempio, dal macellaio entrava a comperare la carne gente poco acculturata ma danarosa. Ormai lavoravano tutti e c’era la ricostruzione che assorbiva tanta manodopera e quindi avevano soldi. In quel periodo mangiare la carne pranzo e cena era uno status symbol. Si sentivano frasi del tipo “No, no, quella no, perché a mio marito quella non piace, deve essere così e così…”, sapevano anche scegliere. Era, quindi, soprattutto un fenomeno culturale. Volendo oggi si può anche vederlo come un regresso della moralità derivante dal fatto che il cibo, come tutti i beni materiali, allora come oggi è distribuito male nel mondo. Anzi oggi grazie ai trasporti celeri le differenze si sono aggravate creando rivolgimenti sociali che acuiscono certi squilibri finendo per rivolgersi contro l’uomo. Pensiamo alle malattie tumorali dell’apparato digerente, non sono dovute soltanto alla carne ma sicuramente il consumo eccessivo di carne una qualche consistente incidenza ce l’ha. Anch’io, vegetariana tutta la vita, forse non sarei arrivata a farmi l’operazione a 82 anni ma molto prima se non avessi avuto un regime di vita di un certo genere. Sapevo, in effetti, che ereditariamente nella mia famiglia c’era una certa debolezza della cistifellea e della bile. Ma questo non determina in assoluto l’essere più sani o più malati perché sono comunque tante le componenti che portano all’insorgenza di certe malattie, compresa quella karmica e del destino. Io sono per l’equilibrio e per il rispetto in tutte le cose. Trovo che poca carne a chi piace e ne ha bisogno, o semplicemente la desidera in misura limitata un paio di volte la settimana non sia così deleteria. L’umanità non è ancora tanto spiritualizzata da poterla eliminare completamente… Molti sono vegetariani per civetteria, perché così si sentono più “in”… Niente mi toglie dalla testa che alcuni si sentano più avanti spiritualmente per questo motivo e poi magari comportarsi con il prossimo con egoismo e indifferenza. Meglio, allora, mangiare una bella bistecca e avere un gesto amorevole e di rispetto maggiore per le necessità e anche per il modo di essere degli altri.
Sergio_Ma l’evoluzione spirituale dell’uomo verso cosa porta?
Giovanna_Sicuramente verso la diminuzione del bisogno di cibo e in particolare di carne. Solo apparentemente noi ci nutriamo direttamente con le sostanze che entrano in noi. In realtà le sostanze vengono finemente elaborate dall’organismo che proprio grazie a ciò si rafforza mentre la gran parte viene eliminata. Quello che passa nel sangue è frutto di una destrutturazione totale del cibo che non ha quasi più niente di materiale. È un discorso complesso perché bisognerebbe affrontare questi aspetti da una visione più ampia, che ci faccia capire che cos’è l’uomo e come mai ci sono queste differenze individuali fino nel corpo fisico. A questo punto, però, il discorso si farebbe troppo complicato… Richiederebbe uno studio approfondito della “Scienza dello Spirito”, dei testi di Steiner. Non dico della sua “Opera Omnia” ma almeno delle sue opere fondamentali, per poter cogliere quello che dice. Anche lì, però, evitando il fanatismo. Del resto anche molti vegetariani sono in realtà falsi vegetariani, perché poi fanno uso di bevande alcoliche, fumano e magari si drogano. Tuttavia, chi può entrare nell’animo dell’altro? Chi può dire perché uno si comporta in un modo e un altro in un altro?
Sergio_Una cosa molto complessa…
Giovanna_Il segreto per potercisi raccapezzare dal punto di vista operativo si gioca nella fase educativa, dove si può e si deve intervenire. È lì che ai bambini vanno date delle buone abitudini evitando loro di vivere in un ambiente fanatico, né in una direzione né nell’altra. Mettiamo il caso di una famiglia dove si mangia la carne che invita a casa un compagno di scuola del figlio che non mangia mai la carne perché non gli piace o perché nella sua famiglia non la si mangia. Che fare? A ben vedere è piuttosto semplice: basterebbe preparare un piatto dove questa cosa non venisse sottolineata. Non è infatti la fine del mondo mangiare una volta senza la carne quando si sa che questo viene fatto per gentilezza sociale. Io trovo che l’equilibrio, il buon senso, il rispetto dell’altro e l’accettazione dei vari modi di essere sia il segreto per vivere nel modo più sano e pacifico.
Sergio_Alla luce della “Scienza dello Spirito” come viene considerata l’uccisione degli animali al fine di potersi cibare della loro carne?
Giovanna_Una cosa che si tramanda è che Rudolf Steiner non parlò né contro né a favore del vegetarianesimo. Almeno per la mia conoscenza in materia mi pare che allora i vegani non ci fossero ancora. Steiner non disse “è bene così, è bene cosà”. Disse di ogni sostanza principalmente in uso quali conseguenze portava nell’organismo. Queste informazioni apparentemente andavano più a favore del vegetariano piuttosto che del carnivoro e per questo si racconta che, a scanso di equivoci, nella cantina dove andò con alcuni amici a rifocillarsi dopo aver tenuto questo discorso, Steiner ordinasse una bistecca alla Bismark. Se l’aneddoto è vero credo lo facesse proprio per far capire che non si deve essere fanatici in niente. In fondo quello che conta veramente è solo la conoscenza, perché la conoscenza porterà poi ognuno a regolarsi liberamente in modo sempre più civile ed evoluto. È sempre coltivando la conoscenza che le persone di buon senso se osservano l’evoluzione dell’uomo si accorgono di quanta gratitudine noi dobbiamo agli animali. Pensiamo un po’ semplicemente al cavallo. Quando ho comprato la mia prima automobile, nel 1961, la potenza del motore si calcolava in cavalli fiscali. Tutta la civiltà si è basata sul lavoro degli equini per ogni spostamento, per i trasporti di tutti i generi, trainando carrozze, carri, aratri e anche per la guerra. In alcune regioni si usa ancora l’asino per tirare su l’acqua dai pozzi. Insomma, gli animali hanno alleggerito tantissimo la fatica dell’uomo. E noi come li ringraziamo… Facendone scempio! Mi ha dato una tristezza enorme vedere gli allevamenti di bovini dove per tenerne ammassati di più gli sono state tagliate le corna. Un giorno stavo facendo una passeggiata in montagna e mi sono imbattuta in un prato dove c’erano molte mucche. Confesso di avere un certo trasporto per gli animali e forse in questo sono un po’ fanatica anch’io ma vi assicuro che con dolore ho visto la tristezza profonda nei loro occhi.
Sergio_E l’uomo per ricompensa non è stato capace di far altro che trattare l’animale molto male. Di farne cibo o soldi…
Giovanna_Sì, lo ha sfruttato e ha abusato di lui. È vero, ci sono singole persone che hanno rispetto e amore per gli animali ma bisogna anche dire che ce ne sono molte altre che per avidità di denaro creano condizioni di vita durissime agli animali.
Sergio_Anche l’animale ha un’anima…
Giovanna_Non per nulla si chiama animale e, a differenza della pianta che è radicata al terreno si muove in autonomia sulla terra. Però non ha il pensiero logico, non ha la stazione eretta, non ha il linguaggio e non ha la volontà guidata dal pensiero e dal sentimento. Guarda caso queste differenze si manifestano in tutti gli esseri umani indipendentemente dalla razza e dal luogo di nascita. Tutti gli esseri umani nei primi tre anni di vita dapprima gattonano e poi arrivano alla stazione eretta. Su questa base l’uomo acquisisce il linguaggio e questo si può constatare semplicemente osservando che se c’è qualcosa che non va nella postura e nell’apparato motorio questo problema si riflette anche sul linguaggio. E solo sulla base del linguaggio cominciano le prime costruzioni analogiche, composte di un certo numero di vocaboli, e nell’uomo si forma il pensiero che, poi, per arrivare alla piena maturità impiega molti anni. Tutte queste cose dovrebbero farci capire quanto sia in errore chi sostiene che noi deriviamo dagli animali. Sì, noi siamo costituiti da una parte minerale, da una parte vegetale e da una parte animale, ma non deriviamo dagli animali.
Sergio_E gli animali cosa sono?
Giovanna_Gli animali sono esseri che non potevano arrivare ad avere un io individuale, uno spirito individuale, per cui sono regrediti. Gli animali superiori di non so quanti mila anni fa erano arrivati vicinissimi ad afferrare questo elemento spirituale individuale ma non ce l’hanno fatta. Chi ce l’ha fatta a superare la fase dell’animalità è diventato uomo. Un uomo primitivo prima ma grazie allo spirito individuale ha conquistato la stazione eretta, gradualmente ha sviluppato il linguaggio e infine la facoltà pensante. Poco alla volta si è evoluto e ha creato tutta la civiltà che ci circonda. Tra gli animali e l’uomo ci sono enormi differenze ma noi dobbiamo loro gratitudine. Allora, mangiamoli pure ma perché, tanto per fare un esempio, devono tagliare le corna al bue? Solo per aumentare la produzione di carne da vendere? Se la natura, o chi per essa, ha dato loro le corna un motivo ci sarà. Non si può pensare che si tratti solo di un motivo ornamentale. Probabilmente certe influenze cosmiche su questi animali passano attraverso queste antenne. In effetti siamo arrivati davvero a stravolgerne completamente la natura. Credo ci faccia anche un po’ comodo non sapere o far finta di non sapere di come li trasformiamo in cibo ammazzandoli selvaggiamente nei terribili mattatoi della nostra “avanzata” società…
Sergio_Quale tipo di sofferenza sperimentano gli animali?
Giovanna_Gli animali di fronte alla sofferenza sono come i bambini piccoli che non hanno ancora conquistato capacità di ragionare sulle cose. Sono, cioè, completamente in balia del dolore. Durante la guerra la mia famiglia è sfollata in un paese più grande dove c’era il mattatoio e qualche volta ci capitava di vedere degli animali condotti al macello direttamente dal contadino. Vi assicuro che quegli animali sapevano della loro sorte, inconsciamente sapevano che andavano verso la morte. Credo che questo accada perché l’animale vive in simbiosi con l’uomo. Sembra che cani e gatti abbiano un’intelligenza, capiscano e ricordino certe cose ma in realtà oltre che dalla loro anima di gruppo stanno prendendo degli atteggiamenti dall’individualità dell’uomo al quale appartengono. E ciò si verifica perché l’io dell’uomo è abbastanza forte da interferire. Però se l’uomo è cosciente di ciò che fa può anche addomesticare un animale, educandolo per esempio a non sporcare in casa o a fare altre cose che istintivamente da solo l’animale non farebbe mai. Benissimo, ma non può abusare di questa passività del mondo animale fino al punto di trattarli come per esempio avviene oggigiorno per le galline che vengono allevate pigiate una contro l’altra. Oggi non c’è quasi più una gallina capace di fare la chioccia, tutto viene fatto artificialmente. In questo modo la natura della gallina viene stravolta e non ha senso, quindi, lamentarci quando mangiamo un pollo e sentiamo che non ha sapore e che le sua uova dall’aspetto pallido non hanno gusto.
Sergio_In cosa si differenzia l’uomo dall’animale?
Giovanna_Proviamo a chiederci perché l’animale muore prima dell’uomo e perché arrivato all’atto riproduttivo e assolto quel compito muore. L’animale fa un certo numero di riproduzioni e di esperienze fino a quando il suo corpo astrale sarebbe pronto per ricevere un io, siccome un io individuale però non lo possiede ma dipende da un’anima di gruppo, a quel punto il suo percorso termina. L’uomo non è mai stato un animale, è passato attraverso vari stadi evolutivi: ha prima attraversato il periodo della vegetalità e poi quello dell’animalità, ma non è mai stato un animale. Viveva l’animalità che in lui stava progredendo come la fase più avanzata di quell’involucro che si stava preparando per ricevere uno spirito individuale. L’uomo era pronto per ricevere questa individualità spirituale, l’animale no e infatti l’animale è un essere regredito. Gli stessi cosiddetti ominidi che sono apparsi sulla Terra e che poi noi crediamo estinti non sono stati in grado di afferrare un io. Le scimmie per esempio sono quadrumani perché le mani servono loro per arrampicarsi velocemente sugli alberi dove riuscire a procurarsi il cibo o difendersi dagli altri animali carnivori. Apparentemente, se ben addestrate, camminano su due mani ma non arrivano ad avere la stazione eretta. La scimmia, infatti, che allo stato libero si arrampica sugli alberi, è totalmente animale, un ominide regredito. La grande differenza fra l’uomo e l’animale sta nel fatto che l’animale non ha bisogno di essere educato perché prende tutto dalla specie. La mamma che lo accudisce con grandissimo amore lo lascia libero nel momento in cui è in grado di procurarsi da solo il cibo, dopodiché non lo riconosce nemmeno come figlio. Un essere umano, ha bisogno di essere seguito gradualmente per circa vent’anni. Inoltre, tutta la struttura organica dell’uomo è molto meno determinata perché i suoi organi possano essere educati a fare molte più cose. Prendiamo la mano dell’uomo. Un animale con le sue zampe può fare delle cose in modo perfetto ma circoscritto, invece l’uomo può fare tutto se si impegna. Quando l’uomo nasce trova delle regole sulla Terra alle quali si deve assoggettare e a questo va educato. Deve apprendere tutto ciò che nel frattempo l’umanità, generazione dopo generazione, ha improntato nella vita sociale e culturale della terra.
Sergio_Bambini e uomini. Fino a quale età è importante portare una sana educazione?
Giovanna_L’uomo si sviluppa gradualmente e sarebbe peccaminoso e deleterio non educare un bambino e non condurlo fino al ventesimo anno dandogli sempre più spazio mano a mano che cresce e acquisisce delle facoltà. Ancora più peccaminoso, però, è pretendere di educare un essere umano adulto. Dopo i vent’anni l’uomo deve essere lasciato a se stesso. Vuole studiare? Studia. Non vuole studiare? Non studia. Decide lui che cosa vuole fare e che cosa non vuole fare. Si può capire, quindi, il pericolo che si nasconde dietro l’educazione di massa, dietro la tv e gli altri media intesi come strumenti per l’educazione. Ecco perché diventa importante la famiglia: nei primi sette anni il bambino imita tutto e se la famiglia dove vive è bene educata, con bei pensieri, riceve una base che quando va a scuola si riconosce, perché il bambino vive e assorbe molto dall’animo dei famigliari. Un maestro riconosce subito se un bambino ha delle difficoltà in famiglia o se al contrario vive in una famiglia dove vige buon senso, affetto, etica.
Giovanna Chiantelli,
maestra steineriana
e solo fino a pochi anni fa
formatrice insegnanti Waldorf
Sergio Giannetta
Giornalista
Direttore Responsabile Germogli
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